Reviviscenza o straniamento?
IL MIO MODO DI FARE TEATRO
Nel teatro moderno, cominciato da Stanislavskij che per primo ha definito chiaramente la metodologia di insegnamento dell’arte attorica, si distinguono due correnti principali, la reviviscenza e l’immedesimazione, e lo straniamento. Esporrò questi metodi parlando del contributo di tre grandi del teatro, Stanislavskij, Mejerchol’d e Brecht, per poi dire cosa io prendo da questi metodi e qual è il mio modo di fare teatro.
Il metodo Stanislavskij è molto preciso, anche troppo. La partenza per lo studio di un personaggio è la sua conoscenza, che parte dalla prima lettura del testo. In seguito l’attore deve svolgere un lavoro di analisi intellettuale precisa del personaggio, in modo da poter mettere in scena inconsciamente il personaggio arrivandoci da uno studio che parte dal nostro livello conscio. Il momento di analisi intellettuale è preparatorio ma molto importante, serve all’attore ad avere tutti gli elementi necessari per impostare il suo personaggio. Questo materiale che l’attore ha scoperto va animato, attraverso l’immaginazione, sia per quanto riguarda le circostanze esteriori, sia per quanto riguarda il mondo interno del personaggio. L’attore deve poi passare a una valutazione di tutti i fatti raccontati nel dramma in modo da sapere che cosa succede. A questo punto l’attore dovrebbe essere in grado di mettersi nei panni del personaggio attraverso la reviviscenza. Conoscendo le circostanze l’attore può chiedersi cosa farebbe in quelle determinate circostanze per poter immaginare cosa farebbe il suo personaggio. L’attore è aiutato da quello che Stanislavskij chiama il se magico, se succedesse questo io cosa farei? L’immaginazione è attivata a partire da determinate circostanze che definiscono l’azione. Le azioni fisiche, per essere realistiche, devono essere logiche e coerenti e la scena deve essere verosimile, ci deve essere una verità scenica, la scena, anche se immaginaria, deve essere organizzata in modo logico e coerente e tutti i suoi elementi devono essere leggibili all’interno di una stessa organizzazione. Il momento della reviviscenza è un momento creativo in cui l’attore comprende quali sono i desideri e le motivazioni del personaggio (ognuno è spinto da un’intenzionalità) e da questi può decidere quali saranno le azioni che svolgerà. Stanislavskij suddivide la scena in numerosi compiti che costituiscono l’intenzionalità del personaggio, ciò che il personaggio vuole in quel momento, questi danno luogo alle azioni del personaggio. A questo punto il personaggio creato nella mente dell’attore deve essere messo in scena attraverso la personificazione. L’attore porta sulla scena i suoi sentimenti e il suo modo di essere, così un personaggio interpretato da un attore sarà diverso dallo stesso personaggio interpretato da un altro. L’attore, in un certo modo, rimane sempre se stesso e va a ripescare proprie circostanze di vita analoghe per far affiorare in lui gli stessi sentimenti che vive il personaggio, per poter rendere in scena il personaggio mosso da quei sentimenti. Il metodo Stanislavskij è essenzialmente un metodo in cui l’attore non recita esteriormente ma porta tutto se stesso sulla scena, immaginando di trovarsi nella situazione in cui si muove il personaggio. L’attore va a ripescare emozioni e sentimenti che lui stesso ha vissuto in situazioni analoghe e li porta in scena, vivendo durante lo spettacolo veramente come fosse il personaggio, attore e personaggio risultano così uniti durante la rappresentazione. Le circostanze esterne ovviamente aiutano a entrare nel personaggio. Stanislavskij sostiene che l’attore, arrivato in camerino per prepararsi allo spettacolo, deve indossare un costume, non solo esteriormente, ma anche sulla propria anima, attraverso l’immedesimazione nel personaggio. Vorrei chiarire che immedesimazione, veridicità della situazione scenica e verità dei sentimenti provati non vogliono per forza dire naturalismo. Stanislavskij ha fatto molti spettacoli naturalistici in cui la scenografia, i costumi e gli oggetti tentano veramente di rappresentare scene realistiche, ma ha fatto anche molti spettacoli fantastici con scenografie molto fantasiose, e spettacoli con elementi architettonici assolutamente simbolici e scene non realistiche, anche molto minimaliste. Pure il metodo di creazione del personaggio era il medesimo, attraverso l’immedesimazione, la scena aveva una sua coerenza interna e la recitazione una sua veridicità. Una recitazione realistica e convincente può esserci in un film storico come in un film di fantascienza o fantasy. Stanislavskij ha inoltre inventato l’uso del fondale nero, originariamente in velluto, adesso non più, in teatro al posto della vecchia scenografia, un’innovazione tecnica fondamentale e ormai imprescindibile del teatro moderno, perché neutro, adatto ad ogni situazione, che consente giochi di luci e di poter staccare le figure dallo sfondo oppure facilmente nascondere quanto vogliamo celare. Questo certamente implica un’impostazione non naturalistica. Stanislavskij è stato il primo a sistematizzare le tecniche per lo studio dell’arte attorica e così ha sicuramente rivoluzionato il modo di fare teatro, che in precedenza era lasciato molto più all’aleatorietà. Ha stabilito molto chiaramente l’importanza di rivivere da dentro il personaggio eliminando quella che poteva essere una recitazione esteriore o l’uso di clichés, quello che normalmente vediamo quando chiediamo di recitare a qualcuno che non lo sa fare. Stanislavskij ha inventato il teatro moderno. Uno dei suoi meriti è quello di aver voluto mettere per iscritto il suo metodo, trattando del lavoro dell’attore su se stesso e del lavoro dell’attore sul personaggio. Stanislavskij avrebbe voluto scrivere ancora ma la malattia prima e in seguito la morte hanno lasciato la sua opera incompiuta, purtroppo abbiamo dovuto rinunciare ad alcuni degli insegnamenti del maestro.
Vsevolod Mejerchol’d inizia come allievo di Stanislavskij, da cui si separa per seguire la propria strada. Mejerchol’d non ha mai scritto niente, tutto quello che sappiamo deriva da sue conferenze e da quello che altri hanno riportato. Già da questo si vede la differenza con Stanislavskij che cerca di sistematizzare il suo metodo, Mejerchol’d al contrario ha un rifiuto della teoria. Inventa la tecnica della biomeccanica, di cui pertanto conosciamo ben poco, se non qualche esercizio. Il termine biomeccanica deriva da un’impostazione positivista che segue il paradigma culturale in voga in quegli anni, poco o nessuno spazio al mondo interiore, tutto viene considerato soltanto da un punto di vista scientifico e razionale. Viene data molta importanza allo studio del corpo umano. I fenomeni psichici in quest’ottica vengono visti come semplici reazioni fisico-chimiche. Mejerchol’d tenta di dare una definizione scientifica anche alla tecnica dell’attore esprimendola con una formula matematica N=A1+A2, dove N è l’attore, A1 è il costruttore (creatore del personaggio) e A2 è l’esecutore. Pur dando importanza a due diverse fasi della creazione attorica, da psicoterapeuta gestaltista non posso fare a meno di notare che l’insieme è diverso dalla somma delle parti. Mejerchol’d ritiene che l’attore debba essere come una marionetta, non debba cioè dare spazio al suo mondo interno. Dal punto di vista psicologico Mejerchol’d si rifà alla teoria dei riflessi di Pavlov, suo connazionale, che elimina il mondo interno. Spiega che ci sono due atteggiamenti verso la psicologia. Per alcuni esiste una parte inesplorata della nostra anima, per altri, i meccanicisti, non ci sono parti inesplorate e inesplorabili, ma semplici reazioni fisico-chimiche. Mejerchol’d non prende chiaramente posizione ma da ciò che dice capiamo che propende sicuramente per il secondo atteggiamento. In una lettera a Pavlov si congratula con lui per essersi disfatto di quella maledetta cosa che è l’anima. Pavlov, che è psicologo e quindi studioso proprio della anima, pur avendola eliminata dai suoi studi, non può che rispondere “Quanto all’anima, aspettiamo ancora un po’”. Mejerchol’d è stato un grandissimo innovatore e molti aspetti tecnici da lui elaborati sono oggi un dato di fatto per il teatro contemporaneo. Nella biomeccanica c’è una grande attenzione alla presenza scenica e alla chiarezza gestuale. I gesti e i movimenti non devono essere fatti a casaccio e in sovrabbondanza, ma ne deve essere fatta economia, questo determina una pulizia scenica. La tecnica e l’organizzazione sono molto importanti. Fin dall’inizio delle prove l’attore utilizza i costumi e gli oggetti che verranno poi usati nello spettacolo, in modo da potersi subito familiarizzare con loro. Nella formazione dell’attore deve avere una parte importante la ginnastica che serve a preparare l’attore a poter fare tutti i movimenti richiesti. Mejerchol’d concepisce lo spazio scenico come un luogo sostanzialmente diverso dal mondo reale, uno spazio a sé stante dove, proprio per questo è possibile che avvenga qualcosa di diverso. Molto importante è la pausa carica di tensione prima del compimento del gesto che Mejerchol’d chiama prerecitazione e in seguito Barba chiamerà sats (in norvegese). Questa pausa racchiude in sé l’energia potenziale che potrà essere poi liberata nel gesto successivo. Mejerchol’d nasce come musicista, è quindi scontato che la musica sia per lui molto importante nell’opera teatrale. Non solo la musica, ma anche il ritmo e la precisione dei tempi dello spettacolo. Per controllare che gli spettacoli non subissero variazioni temporali tra una prova e l’altra li cronometrava. Una così grande precisione è tipica dell’opera e dei concerti, quindi del regno della musica, che è una scansione del tempo, non certo delle rappresentazioni teatrali. Per Mejerchol’d tuttavia lo spettacolo non è mai fissato, ma in continua evoluzione, e viene definito anche dall’incontro col pubblico, che ha un suo ruolo nello spettacolo come gli altri partecipanti. L’attore ha largo spazio all’improvvisazione. Mejerchol’d critica molto le scenografie tradizionali che, per tentare di essere realistiche, perdono ogni contatto con la realtà, basta che l’attore si sposti in fondo alla scena che la prospettiva naturalistica che vorrebbero ricreare viene completamente sconvolta. Le scenografie utilizzate da Mejerchol’d sono simboliche e non realistiche. Gli oggetti sono in scena soltanto se necessari. Molte critiche riceve anche l’edificio teatrale. Il teatro tradizionale suddivide il pubblico in classi, tra quelli seduti in platea, quelli seduti nei palchi e quelli seduti in galleria. Nel teatro proposto da Mejerchol’d non c’è questa suddivisione per classi, il pubblico è seduto in anfiteatro e il teatro non è più una scatola quadrata, anche il soffitto dell’edificio è utilizzabile. La recitazione degli attori avviene sul proscenio e quando gli attori non recitano sono comunque visibili in scena, ma si capisce che in quel momento non stanno recitando, quando iniziano a recitare entrano in un preciso spazio ristretto sulla scena. Il teatro deve essere molto grande per permettere scena di massa e deve dare la possibilità di cambiare la scena facilmente, inoltre deve essere possibile entrare in scena dalla platea, anche per permettere un’eventuale partecipazione da parte del pubblico. Per Mejerchol’d l’attore ha il primato rispetto al regista (al contrario di quello che avviene nel cinema). Mejerchol’d dice “Il regista si limita a punteggiare, ma l’attore sparge sangue”. Mejerchol’d si è rifatto molto ai metodi di recitazione delle tradizioni orientali, cinese e giapponese, come poi faranno anche Brecht e Barba. I personaggi di Mejerchol’d non sono pienamente realistici, i loro tratti sono accentuati, infatti Mejerchol’d ricorre alla tipizzazione e all’utilizzo dei ruoli tradizionali teatrali per dare l’idea di un certo tipo di persona. Veniamo adesso a descrivere la peculiare tecnica recitativa di Mejerchol’d. La recitazione parte dal gesto e non dalla reviviscenza, come era per Stanislvskij. Mejerchol’d si rifà alla teoria dell’emozione di James e Lange, opposta alla teoria di Cannon e Bard, l’emozione parte da una reazione fisica e non avviene viceversa. Questa teoria è sicuramente vera, le nostre emozioni sono dapprima reazioni fisiologiche in risposta agli eventi, ma in realtà non dice che il gesto venga prima dell’emozione. È sicuramente possibile emulare le reazioni fisiologiche emotive in seguito al compimento di determinate azioni ma in un ciclo normale prima avviene lo stimolo, poi la reazione fisiologica percepita in seguito come emozione, poi la sua elaborazione cognitiva e quindi un’azione di risposta. Mejerchol’d dà molta più importanza al pensiero che all’emozione, come in seguito farà anche Brecht. Nella recitazione l’attore non si limita a interpretare il personaggio ma comunica al pubblico il proprio atteggiamento nei confronti del personaggio, facendo quello che si chiama un ammicco al pubblico. L’attore non è mai completamente il personaggio ma chiaramente fa vedere al pubblico che lui e il personaggio sono diversi, facendo anche trasparire cosa lui pensi del personaggio. Il personaggio non è solo interpretato ma anche valutato. L’attore non diventa mai completamente il personaggio ma tra i due rimane una distanza. Questo permette all’attore di non essere mai fuori controllo ma di rimanere sempre se stesso. Non posso esimermi a questo punto di parlare dell’aspetto ideologico del teatro di Mejerchol’d. Mejerchol’d aderisce con entusiasmo alla rivoluzione d’ottobre, mentre Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko, suo collaboratore, rimangono molto defilati e preferiscono non prendere posizione continuando a fare il proprio lavoro. Il lavoro teatrale di Mejerchol’d è fortemente ideologizzato, leggendo le trascrizioni delle sue conferenze sembra di ascoltare un disco rotto, l’argomento è sempre quello, il proletariato, la classe operaia, la rivoluzione. Possono l’arte e la creatività essere così monotematiche? Possibile che Mejerchol’d non abbia avuto qualcosa da dire su un altro argomento? Il rischio in questo caso è che il teatro non serva ad ampliare l’anima, come dovrebbe, ma piuttosto che la restringa costringendola a un’unica espressione. D’altronde le dittature non sono mai state strumenti di sviluppo dell’anima. Mejerchol’d concepisce il teatro come uno strumento di propaganda. Sostiene che tutta la drammaturgia è tendenziosa e propagandistica. Bisogna sicuramente tener presente che sotto una dittatura non si può dire tutto, ma Mejerchol’d non evita certi discorsi tentando di rimanere più neutro possibile, al contrario partecipa con entusiasmo e fa della rivoluzione d’ottobre una missione. Per beffa della sorte qualche anno più tardi il teatro sovietico ufficiale decide che è possibile occuparsi solo di propaganda e di quotidianità. Vengono vietate tragedia, satira, grottesco (teatro simbolico) e tutto quello che si discosti dal naturalismo. Senza che Stanislavskij l’avesse chiesto il suo teatro diventa il simbolo del realismo socialista. Mejerchol’d è molto criticato e indotto a scusarsi per aver commesso degli errori. Nei suoi ultimi anni elogia Stanislavskij, che in precedenza aveva criticato, e, dopo la chiusura del suo teatro, torna a lavorare con lui. Anche qui non si capisce quanto sia stato costretto dalla dittatura a scusarsi o quanto preferisse continuare a seguire l’ideologia in cui aveva creduto, che adesso diceva che il suo lavoro non era consentito. Il suo teatro di propaganda ha finito per togliergli la libertà creativa.
Bertolt Brecht ha una posizione molto simile a quella di Mejerchol’d, non sappiamo se fosse mai venuto a contatto con la sua opera, non lo cita mai. Brecht fonda il cosiddetto teatro epico, in opposizione al tradizionale teatro drammatico. Mentre le caratteristiche del teatro drammatico sono l’azione, l’importanza dell’emozione, l’attenzione per tematiche eterne, il fatto che lo spettatore sia immerso nell’azione scenica tramite l’immedesimazione e che abbia suggestioni non sempre coscienti, le caratteristiche del teatro epico sono il racconto dell’azione e non la sua rappresentazione, l’importanza del pensiero, l’attenzione a ciò che nella storia è modificabile, il fatto che lo spettatore sia un osservatore e sia portato ad avere coscienza di quello che succede. Lo spettatore nel teatro epico non è portato all’immedesimazione e alla catarsi, al contrario deve essere molto chiaro che l’attore non sia veramente il personaggio ma stia recitando e che siamo in un teatro. Ci deve essere un distacco tra attore e personaggio, l’attore deve presentare in scena una critica del personaggio stesso, come accadeva con Mejerchol’d. L’atteggiamento di autoosservazione dell’attore gli impedisce di immedesimarsi completamente col personaggio e di abdicare a se stesso, permette al contrario di far prendere una distanza dagli avvenimenti raccontati e un atteggiamento di speculazione su essi. L’attore è visto da Brecht come un dimostratore, non un artista ma una persona comune che racconta qualcosa che è successo, come un amico che racconta del padrone di casa o un passante per strada che ha assistito a un incidente stradale. I destinatari del racconto sanno benissimo che chi sta raccontando non è la persona coinvolta né si sta immedesimando nel personaggio che rappresenta, il distacco tra chi rappresenta e chi è rappresentato è sempre evidente a tutti. Lo scopo in questo caso è sociale, si racconta per un motivo ben preciso, non si vuole provocare emozioni ma sollecitare una critica. Il personaggio va reso come una persona estranea all’attore, vengono accentuati alcuni tratti dando luogo a una caratterizzazione per far meglio comprendere la tipologia del personaggio. Il dimostratore può essere interrotto in qualsiasi momento e di solito si rivolge direttamente al pubblico. Il fine della rappresentazione è facilitare il giudizio e il pensiero nello spettatore. L’interprete non è completamente immerso nella vicenda ma deve far trasparire che sa come andrà a finire il testo. Le vicende narrate sono molto importanti e l’interesse è schiettamente pratico. Per far ciò Brecht utilizza svariati espedienti tecnici come il racconto, l’utilizzo di cartelli per dare informazioni, proiezioni video (molto utilizzate nel teatro contemporaneo), persone in sala che commentano lo spettacolo (chiamate cori come nell’antico teatro greco), la presentazione di dati statistici, l’utilizzo di gesti dimostrativi, il rivolgersi direttamente al pubblico (caduta della quarta parete), l’uso della terza persona e del passato parlando del personaggio, il mettere in mostra l’illuminazione. Brecht fa molto uso di canzoni che separa dal resto della recitazione, come attualmente avviene nei musical, la musica non deve essere un commento al testo ma deve avere uno spazio suo proprio. Le opere epiche possono venir rappresentate ma sono espresse al loro meglio tramite un libro, cioè un racconto. Lo scopo è elicitare nello spettatore una sorpresa per quello che sta vedendo, un effetto di straniamento rispetto al personaggio con cui non si identifica e, al contrario, valuta, critica e giudica, e fargli venire in mente una possibilità di cambiamento della situazione esistente. La natura è vista non come qualcosa da rispettare così com’è ma come qualcosa da trasformare (Brecht usa proprio i termini sfruttare, sottomettere e dominare non comprendendo appieno che lo sfruttamento della natura e dell’umanità sono collegati). Non si vuole creare ipnosi negli spettatori e non si vogliono imporre emozioni al pubblico. Lo scopo del teatro epico è eminentemente didattico, si vuole insegnare qualcosa agli spettatori. Viene data molta importanza alla morale. La lettura delle vicende è storica, quello che succede è frutto di una determinata epoca e non sarebbe stato uguale in un’altra, non vengono ricercati dei fondamentali che sono uguali in tutti i tempi. Come Mejerchol’d Brecht studia attentamente l’arte orientale da cui trae notevoli spunti. Brecht dà molta importanza alla scienza, da lui identificata nelle sue ramificazioni di sociologia, economia e storia, mentre dà pochissima importanza alla psicologia nella creazione dei personaggi e nel determinarne le loro motivazioni, considerando il guardarsi dentro molto a buon mercato (in realtà guardarsi dentro e trovare le motivazioni fondamentali proprie e degli altri è difficilissimo, molto più difficile che studiare in teoria sociologia, economia e storia). In questo suo atteggiamento ritroviamo il ripudio dell’anima di Mejerchol’d. Un ultimo cenno all’ideologia sottesa dal teatro di Brecht. Il teatro di Brecht è chiaramente di ideologia comunista, in questo caso frutto sicuramente di una convinzione personale e non di pressioni politiche essendo vissuto nella Germania nazista. Si capisce allora la grande attenzione a tematiche sociali e politiche, l’importanza dello sviluppo del pensiero critico (critico nei confronti dell’attuale situazione sociale), lo scopo didattico (quasi di propaganda). Secondo Brecht il divertimento in teatro è un ramo del commercio borghese di stupefacenti, riferendosi in questo caso alla parziale perdita di coscienza degli spettatori immersi nello spettacolo e ammaliati, non in comunicazione tra loro, almeno fin quando assistono alla rappresentazione. In effetti il teatro è nato da rituali magici e religiosi che usano molto spesso stati alterati di coscienza. Quello che Brecht non capisce è che il cambiamento ricercato nel teatro drammatico è in campo psichico e non sociale, proprio attraverso le emozioni e uno stato alterato di coscienza è possibile cambiare qualcosa nel nostro mondo interno. Il teatro è concepito da Brecht come mezzo per mantenere l’ordine costituito, permette il rinnovamento ma non il cambiamento sociale. Il teatro è un apparato della società e l’immaginazione artistica non è libera in quanto si può immaginare solo all’interno di ciò che è consentito dalla nostra società, gli artisti si illudono di possedere un apparato che in realtà li possiede.
Il teatro moderno, come dicevo, è stato inventato da Stanislavskij, che ha sistematizzato il metodo di formazione degli attori e ha eliminato la recitazione superficiale, non realistica, e i clichés (tranne nelle compagnie amatoriali in cui non c’è formazione). L’attuale arte performativa e il teatro contemporaneo hanno preso tantissimo da Brecht, sia al livello di mezzi tecnici, sia al livello del mondo interno dell’attore, all’attore non è sempre richiesto di rivivere determinate emozioni, basta che la sua recitazione sia convincente esteriormente e coinvolga e susciti emozioni nel pubblico. Tuttavia l’attore, anche se non sta interpretando un personaggio, come ad esempio nell’arte performativa e nell’happening, è coinvolto completamente in quello che sta facendo e completamente concentrato. Inoltre lo scopo non è tanto creare una riflessione teorica nello spettatore quanto elicitare emozioni, molto più adesso nel teatro contemporaneo e nell’arte performativa, dove vengono usate composizioni sceniche particolarmente curate con lo scopo di stupire, accattivare, scioccare e elicitare emozioni e dove spesso la reazione del pubblico non arriva a livello cosciente, il pubblico dice che lo spettacolo è stato bellissimo ma se viene chiesto di cosa parlava pochi ci hanno capito qualcosa. In sostanza il teatro moderno, pur avendo appreso molto da Brecht e da Mejerchol’d, è di derivazione prevalentemente stanislavskijana con una completa concentrazione dell’attore in quello che sta facendo e l’elicitazione emotiva. In realtà molti grandi del teatro contemporaneo derivano i loro insegnamenti da Stanislavskij. Grotowski è stato allievo sia di Stanislavskij che di Mejerchol’d, ma è prevalentemente ricordato per essere stato allievo di Stanislavskij, Barba è stato a sua volta allievo di Grotowski. Per quanto riguarda il cinema il metodo di Stanislavskij è attualmente il più usato attraverso il suo adattamento al mondo cinematografico di Strasberg grazie all’Actors Studio.
Qual è tra tutto questo il mio modo di fare teatro? Anch’io seguo la corrente più diffusa dell’insegnamento di Stanislavskij pur con la necessaria modernizzazione e discostandomi in alcuni punti. Il mio attore quando recita non va a ripescare i propri sentimenti ma si immedesima nel personaggio e così riesce automaticamente a rivivere i sentimenti e le emozioni provate dal personaggio, essenzialmente se io sono nella parte e mi immedesimo, attraverso l’empatia e l’immaginazione, tutto viene da sé. Questa modalità è meno emotivamente coinvolgente in quanto, finita la rappresentazione, l’attore abbandona il personaggio con la sua vita, le sue emozioni e i suoi problemi e non ne è più turbato. È inoltre molto meno doloroso rivivere i sentimenti di un altro che i propri perché abbiamo una naturale distanza dalla situazione. Stanislavskij suppone inoltre che in una data circostanza tutti reagiremmo allo stesso modo, quindi all’attore basta chiedersi come reagirebbe lui. Questo in realtà non è vero, ognuno reagisce in modo diverso alle situazioni che vive e quindi l’attore non dovrebbe chiedersi come lui reagirebbe in quella situazione, ma come reagirebbe il suo personaggio. L’attore nella mia concezione non pone una distanza tra sé e il personaggio, è al 100% il personaggio rappresentato, ma contemporaneamente è al 100% anche se stesso, un attore che sta recitando ed è pienamente cosciente di quello che sta accadendo (non cade dal palco, non pesta chiodi che sbucano dal pavimento, non cade nella buca del suggeritore, reagisce in maniera appropriata se un collega fa un errore, è in grado di svolgere accortezze tecniche come mettersi sotto la luce, rispettare le proprie battute e azioni). Non c’è fusione tra attore e personaggio ma sono contemporaneamente presenti le due coscienze. Se andiamo a studiare le tradizioni sciamaniche e i rituali primitivi da cui è nato il teatro vediamo che per gli attori primitivi era esattamente così, uno stato alterato di coscienza era attivamente ricercato, attraverso l’uso del ballo, della musica e anche di droghe, tuttavia l’attore e lo sciamano erano perfettamente consapevoli della ritualità di quanto stavano facendo e non rischiavano di farsi male o di sconfinare dallo spazio scenico. Gli antichi greci conoscevano perfettamente la differenza tra epica e dramma (espresso nelle due forme teatrali di tragedia e commedia) e avevano attribuito a queste forme artistiche muse diverse, Calliope per l’epica, Talia per la commedia e Melpomene per la tragedia. Il teatro, sia per quanto riguarda la commedia che per quanto riguarda la tragedia, pertiene a Dioniso, con la sua caratteristica alterazione della coscienza, che Dioniso raggiunge attraverso il ballo, la musica e le droghe, metodi utilizzati come abbiamo visto negli spettacoli primitivi e ancora oggi nei concerti rock. Nelle feste in onore di Dioniso venivano recitati spettacoli comici e tragici. Un teatro che non punti a far perdere se stesso allo spettatore e portarlo in un’altra dimensione è un tradimento di Dioniso. Dioniso non mette mai distanza tra sé e gli eventi, si butta sempre a capofitto nelle situazioni, è coinvolto al 100% in tutto quello che fa. È estremamente emotivo, infatti noi quando assistiamo a una rappresentazione teatrale mettiamo momentaneamente da parte il ragionamento per lasciarci coinvolgere dall’emozione. Dioniso è il dio che lega e il dio della participation mystique, della comunità e della comunione con gli altri, dove ogni cosa è fusa in un tutto indifferenziato e noi non siamo più i singoli mortali assorbiti dai nostri personalismi ma possiamo far parte di qualcosa di più grande che va oltre noi stessi e oltre il nostro tempo, ci fa insomma partecipare della divinità, per questo il teatro è sacro, come lo erano un tempo i riti. Da qui nasce la propensione del teatro a trattare tematiche eterne, vissuti condivisibili da tutta l’umanità in ogni tempo e in ogni luogo, e a far risaltare quello che ci lega al resto degli esseri umani e non quello che ci divide, e a farci, tutti, immedesimare coi personaggi rappresentati, non perché sono come noi, ma perché in fondo tutti proviamo le stesse emozioni. Il dio che colpisce da lontano è Apollo, anche lui un dio dell’arte, ma non del teatro. Il cambiamento nel teatro avviene proprio attraverso un’alterazione dello stato di coscienza abituale attraverso cui veniamo a contatto con qualcosa di diverso rispetto al solito mondo che ci circonda. Il teatro appartiene al mondo interno, non al mondo esterno, ed è lì che avviene il suo cambiamento, che in ogni caso è un effetto collaterale. Perché il teatro è espressione dell’anima e vuole ampliarla, non cambiarla. Il cambiamento può avvenire per la nostra ristretta coscienza diurna se riesce a portarsi a casa qualcosa che ha imparato dal più vasto mondo dell’anima. Ciò non vuol dire che il teatro non possa portare anche a un cambiamento sociale, ma come conseguenza di un cambiamento del nostro mondo interno. Altre considerazioni sul teatro di Brecht. Il pensiero non nasce da solo, è una rielaborazione cognitiva che segue un’esperienza emotiva, voler cercare di elicitare il pensiero senza partire da un’emozione è psicologicamente sbagliato, il pensiero senza emozione è mancante della sua base e porta a ragionamenti sul niente e a considerazioni scorrette, il rischio di travisare completamente la natura e di fare castelli in aria è altissimo, nessun ragionamento può prescindere dall’effetto emotivo che mi fa una certa esperienza, soltanto dopo che so cosa provo posso chiedermi cosa ne penso (ad esempio se metto una barriera sopra la mia emozione di sofferenza o di paura posso continuare a sbattere la testa su una situazione solo perché mi hanno detto che è giusto farlo). In ogni caso anche per Brecht il cambiamento parte da un’esperienza emotiva, la sorpresa. Brecht, probabilmente molto impaurito dall’emotività, mette in guardia dai rischi della manipolazione emotiva, ma elicitare un’emozione non vuol dire manipolare le persone, perché è vero che attraverso l’arte gli spettatori possono essere indotti a provare una particolare emozione, ma questo non vuol dire che in seguito allo spettacolo ogni spettatore tornando a casa non faccia le proprie valutazioni e non esprima i propri giudizi. Il teatro ti aiuta a provare una determinata emozione scelta dal drammaturgo e dal regista, cosa pensarne lo decidi tu. La persona in questo caso è lasciata libera. D’altronde lo spettatore sceglie che emozione provare scegliendo il tipo di spettacolo, se scegliamo di vedere una commedia sappiamo che probabilmente ci divertiremo, se scegliamo una tragedia o un dramma sappiamo che probabilmente ci commuoveremo, se scegliamo di vedere un horror sappiamo che probabilmente avremo paura. Trovo che lo spettatore sia lasciato molto meno libero di scegliere quando lo spettacolo va dritto al pensiero, ci impone così l’opinione del regista senza che possiamo controbatterla perché non legata a nessuna nostra esperienza emotiva e quindi per noi è impossibile sapere se quella situazione è piacevole o no, siamo costretti a ragionare e gran parte delle volte le nostre opinioni si polarizzano, o subiamo un lavaggio del cervello e siamo assolutamente d’accordo col regista, oppure controbattiamo per partito preso. È così che funziona la propaganda, continua a ripetere l’opinione di un altro senza tu venga messo nella condizione emotiva di valutare, e alla fine l’opinione di un altro la accetti. Credo sia possibile esprime le proprie opinioni attraverso il teatro, ma sono assolutamente contraria alla propaganda, che ha fatto tantissimi danni nelle dittature. In ogni caso preferisco occuparmi di tematiche in cui ognuno si può riconoscere e per cui non ci sia bisogno di prendere una posizione, le opinioni dividono, le emozioni uniscono. È sicuramente possibile utilizzare il teatro per fare didattica, può rendere molto più divertenti gli argomenti da apprendere (attraverso emozioni piacevoli come la gioia e il divertimento, attraverso un grande coinvolgimento emotivo nelle vite di alcuni personaggi storici, ecc.), ma non è il suo scopo primario. Tuttavia Brecht non voleva certo insegnare l’astronomia attraverso il teatro ma imporre le sue personali opinioni politiche e, pur con tutto l’amore per la scienza che aveva Brecht, questo di scientifico ha ben poco. Un’ulteriore considerazione sullo sfruttamento di una parte dell’umanità. Lo sfruttamento, come spiega bene anche Marx, è nato con lo sviluppo della coscienza e il pensiero razionale, non esisteva all’alba dell’umanità quando non esisteva il pensiero e non esiste nel mondo dionisiaco. Nel mondo degli altri animali sicuramente esistono situazioni di disuguaglianza e terribili atrocità, ma difficilmente sono etichettabili come sfruttamento. Per decidere di sfruttare qualcun altro devo innanzitutto vederlo diverso da me, in una vita in comunità dove non ho una chiara identità personale ma sono in comunicazione col resto del gruppo non farei mai un’azione che vada contro qualcuno del gruppo e che mi separi da esso, non fosse solo perché senza il gruppo non mi riesce sopravvivere. Le api non fanno del male ad altre api dell’alveare. Inoltre devo poter progettare una tale azione e questo è possibile solo con un pensiero razionale ben sviluppato. Per questo motivo noi pensiamo che gli altri animali siano più buoni di noi. In realtà sono spietati e privi di coscienza morale, sono solo in grado di agire secondo natura, una leonessa non si sentirà mai in colpa per aver ucciso una gazzella. Non c’è bontà in loro, ma non c’è nemmeno cattiveria, che invece è presente in molta parte dell’umanità. Il teatro è uno strumento per mantenere l’ordine costituito? In alcuni casi sì. Pensiamo ad esempio agli spettacoli di gladiatori che venivano fatti per far riversare l’aggressività del popolo sui contendenti e non su chi li governava. Gli antichi romani dicevano chiaramente che per tenere il popolo a bada bisognasse dargli panem et circenses. Molti spettacoli sportivi hanno ancora oggi lo stesso ruolo, scarico la mia aggressività domenica allo stadio, così il lunedì posso tornare mansueta alla mia miserabile vita senza ribellarmi, accumulare frustrazione per un’altra settimana e scaricarla nuovamente allo stadio domenica senza che niente cambi. In passato esistevano due tipi di riti, quelli stagionali e quelli che avvenivano una sola volta nel corso della vita, i riti stagionali segnavano il passaggio da un periodo dell’anno a un altro, i riti che avvenivano una sola volta segnavano il passaggio da una fase della vita a un’altra. I primi riti servivano a mantenere l’ordine costituito, i secondi a portare a un cambiamento, nel mondo interno della persona e, conseguentemente, anche nella società. Uno spettacolo sportivo domenicale, un programma televisivo settimanale o uno spettacolo di capodanno più probabilmente anche al giorno d’oggi servono a far sì che niente cambi. Un’esperienza artistica unica può cambiare la vita per sempre e indurre a scelte che possono anche cambiare la società. Lo scopo del teatro non di intrattenimento è l’ampliamento della propria anima, e questo in genere non è mai a favore dell’ordine costituito. Persone a contatto con la propria anima raramente possono essere dei sudditi. Quindi non utilizzo mai lo straniamento nel mio teatro? Lo utilizzo, in situazioni particolari, in special modo quando voglio ottenere un effetto ironico (quindi sempre allo scopo di elicitare un’emozione). Ma con parsimonia, credo che rivolgersi continuamente al pubblico possa interrompere il flusso dello spettacolo, risultare fastidioso e alla lunga noioso. Il paradigma nel quale mi muovo rimane il contatto emotivo con se stessi e con gli altri.
Mi viene in mente un’altra riflessione. Negli esempi sopra riportati il metodo di reviviscenza e immedesimazione non ha contenuti ideologici e può trattare qualsiasi tematica. I metodi teatrali che utilizzano lo straniamento sono entrambi ideologicamente orientati. Lo straniamento è una forma teatrale collegata con l’espressione di un’ideologia? Può essere, puntando a un’interruzione nel flusso delle emozioni e volendole sostituire con una spiegazione razionale direttamente rivolta al pubblico, è un metodo particolarmente adatto per esprimere proprie opinioni, idee e ideologie. Corre il rischio di essere tendenziosamente orientato. Ma mi spingo oltre. Entrambi gli autori considerati, i padri e i maestri dello straniamento, Mejerchol’d e Brecht, non volevano esprimere un’ideologia qualsiasi, ma l’ideologia comunista, in situazioni storiche e culturali molto diverse, l’uno in Russia durante la rivoluzione d’ottobre e il regime comunista, l’altro nella Germania nazista. Uno d’accordo col potere costituito, l’altro in aperta opposizione. Lo straniamento serve obbligatoriamente ad esprimere un’ideologia comunista? Non potrebbe essere utilizzato da un dittatore fascista? È una riflessione interessante. Probabilmente lo straniamento può essere utilizzato per esprime qualsiasi ideologia, ma abbiamo visto che storicamente non è andata così. Chissà, forse l’ideologia di destra ha utilizzato altre forme, più pompose, ed ha preferito la manipolazione emotiva. Forse ha preferito una propaganda diretta e non mediata da spettacoli teatrali (ad esempio i cinegiornali fascisti). Forse il teatro come mezzo di propaganda è stato utilizzato da chi si ritiene moralmente nel giusto e per questo pensa sia corretto insegnare a chi ne sa di meno di politica e scienze sociali, e la sinistra è più propensa a dire di essere nel giusto, mentre la destra fa più leva su ciò che è più conveniente. In ogni caso è una tematica molto interessante da sviluppare.
Come sono andate le vite dei maestri del teatro? Stanislavskij decide di non impegnarsi attivamente nella propaganda comunista e continua a creare i propri spettacoli, seppur sottoposti a censura, a cui per altro era abituato perché la censura esisteva anche sotto lo Zar. La sua produzione artistica rimane libera. Stanislavskij non prese mai una posizione rispetto al regime. Non reputo il suo atteggiamento una vigliaccheria, credo veramente che il compito del teatro sia esprimere il mondo interno e non le proprie opinioni politiche, e che il teatro debba avvicinarci gli uni agli altri e non dividerci in base a ciò che pensiamo. E soprattutto che debba accogliere tutti, comunisti e nazisti (senza per questo essere d’accordo con loro), perché proprio grazie allo sviluppo dell’immedesimazione nell’altro e dell’empatia si può sciogliere il cuore anche del peggior nazista. Trovo il suo atteggiamento saggio, come Galileo che lascia correre perché il mondo ancora non è in grado di capire ma sa che la storia gli darà ragione. D’altronde, come ha detto umilmente Bertrand Russell “Non vorrei mai morire per le mie idee, potrebbero essere sbagliate”. E come hanno detto più recentemente i Green Day “Do you know what’s worth fighting for when it’s not worth dying for?”. Stanislavskij continua a esprimere la sua anima attraverso l’arte fino alla morte. Paradossalmente, senza che lui l’avesse minimamente chiesto né auspicato, il suo teatro viene scelto come teatro ufficiale sovietico, il regime non vide il potenziale di cambiamento del mondo interno ma si accontentò che non volesse cambiare l’ordine costituito. Aveva più paura del teatro che induceva a pensare, non sia mai che qualcuno potesse pensare qualcosa di leggermente diverso dalla dottrina ufficiale.
Brecht inizia la sua attività lavorativa nel momento dell’ascesa del nazismo e viene presto inserito nella lista nera di Hitler. Dieci anni dopo un suo spettacolo è interrotto dalla polizia con l’accusa di tradimento. Brecht scappa immediatamente dalla Germania. Passa gli anni seguenti della sua vita spostandosi senza sosta da una parte all’altra dell’Europa, fino a finire negli Stati Uniti, dove incontra la sua nemesi. Per anni era scappato dal nazismo quando, a guerra finita, è stato accusato di comunismo dalle autorità americane e costretto a scappare di nuovo. Ritorna infine in Germania, a Berlino Est, dove finalmente può vivere in un paese comunista come aveva desiderato, mantenendo sempre la sua caratteristica capacità critica e la sua sferzante ironia.
Anche Mejerchol’d incontra la sua nemesi, molto più tragica. Aderisce con entusiasmo e ferma convinzione alla rivoluzione d’ottobre e si impegna da subito a fare del suo teatro uno strumento della propaganda comunista. Prende posizione, si espone. Pecca di entusiasmo e di ingenuità. I suoi metodi non piacciono al regime. Molte volte criticato, il suo teatro viene chiuso e lui è costretto ad ammettere i suoi errori (che non si capisce quali possano essere nel campo della ricerca artistica), torna ad elogiare il suo maestro Stanislavskij da cui si era molto allontanato per divergenze artistiche e riprende a lavorare con lui. Tutto questo non basta, perché quando uno si espone il regime pretende un’adesione assoluta, non possono esserci divergenze, anche se solamente tecniche, anche se minime. L’ultimo suo spettacolo viene bruscamente interrotto e lui arrestato e torturato per svariati mesi, fino a che non ammette di essere una spia trotzkista (che assolutamente non era), pretesta per eliminarlo. Poco dopo l’ammissione estorta viene condannato a morte e giustiziato. Il suo nome cancellato dalla storia. Noi al giorno d’oggi probabilmente abbiamo sentito parlare di Stanislavskij e di Brecht, ma quasi sicuramente non sappiamo niente di Mejerchol’d. Le prime notizie ci arrivano da ricostruzioni dopo la caduta del comunismo. Il giorno seguente anche sua moglie viene torturata e uccisa. Guardando Mejerchol’d provo tristezza, compassione e tenerezza, verso un uomo che ha dedicato la sua vita a un ideale, da cui poi è stato tradito.